domenica 2 dicembre 2007

SXSW 2005: Milton Mapes

Guero's Taco Bar
(16 Marzo - Austin, Tx)

foto: Jovita's - Outdoor Stage

I Milton Mapes sono una american band che esplora un territorio ormai sperduto alla ricerca di una frontiera che prende forma solo nelle loro canzoni che hanno uno spirito più pionieristico, a celebrare l’ignoto. Da Dallas sono arrivati ad Austin, nel Texas, dove si sono stabiliti con il loro leader vocalist Greg Vanderpool ed il loro suono è ben radicato nell'Alternative-Country e nell'Americana. Disco d'esordio, The State Line, con 9 piccole grandi canzoni registrate tra il Tennessee e il Texas, che mettono in risalto il songwriter e la voce del leader Vanderpool, oltre al loro suono che ha elementi profondi nel West Texas con un rock a volte inciendiario e trascinante. Westernaire mette a nudo le loro ballate elettriche, impastate nella polvere del deserto texano e non si parla dell'ennesima generazione alternative-country, ma la trasparenza di queste canzoni trascende il genere per avvicinarsi con estrema naturalezza ai classici del rock americano tout court. Tre le pieghe dei testi si insinuano liriche che ai luoghi comuni di una scrittura folk per paesaggi e storie, contrappongono riflessioni amare, indagando l'ignoto e la fuga, temi che contribuiscono certamente ad accrescere l'impatto generale. La musica invece si inserisce in una tradizione dura a morire, ma non lascia in bocca il sapore amaro del solito dejà vù. Era già riduttivo in passato classificarli nel grande calderone del genere, lo è ancora di più alla luce di un disco molto scontroso come The Blacklight Trap, di non facile approccio, dove i testi poetici e malinconici del leader Greg Vanderpool (voce, chitarre, banjo, armonica) ricordano molto il collega Ben Nichols dei Lucero. La musica dei Milton Mapes assume però dei connotati meno virulenti e punk, per diluirsi in una serie di ballate e mid tempo giocati sui silenzi, su ritmi ciondolanti e chitarre polverose a rappresentare lo sforzo più personale, anche se meno immediato, fino ad oggi realizzato dalla band.

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sabato 24 novembre 2007

SXSW 2005: Nathan Hamilton

Guero's Taco Bar
(16 Marzo - Austin, Tx)


Questo giovane di Abilene, Texas, arrivato tardi alla musica dopo essersi dedicato alle arti grafiche, l'ha mutuata attraverso un decennio di esperienze. Dopo un deludente tentativo Losangelano come autore ed attore nella prima metà degli anni '90, Nathan ritorna a casa; ha nostalgia del suo Texas e torna per lavorare in un ranch fuori Austin. Ritrova la sua ragazza di un tempo, Sarah, che sposerà poi nel '97, e si dedica occasionalmente alla musica. Si unisce ad un chitarrista e cantautore Marc Utter e suonano dal vivo in diverse occasioni. Con quest'ultimo, nel '95, forma un gruppo roots dal nome Sharecroppers, con i quali registra "Spirit of Sharecroppers", prodotto da Lloyd Maines, prima di sciogliere la formazione nel '98. La mancanza di successo è la principale motivazione, ma lo spirito del gruppo sopravvive in un quartetto bluesy con la cantante Leeann Atherton, che comprende, oltre a Nathan, chitarra, altri due notevoli personaggi: il bassista e chitarrista Mike Stephenson, e l'amico Mare Utter. È il preludio a due notevoli dischi, "Lady Liberty", dove la Athetton canta tutte le canzoni scritte da Stephenson e questo magnifico Tuscola. Si tratta di un'opera senza tempo dove prevale un forte senso rurale e popolare dei luoghi noti, del passato, della pace e della beatitudine che da il confrontarsi con le proprie tradizioni. Da un gruppo hippie-country-bluegrass è uscito un personaggio introspettivo che sembra scavare a fondo tanto nelle più riposte emozioni dell'anima che nella tradizione dell' Americana. Il risultato è stupefacente. Lo spessore delle languide ballate di Nathan Hamilton, che sembrano un'emanazione del vento che soffia nelle infinite praterie della sua terra, ha pochi uguali. La sua voce è evocativa, pervasa da una vena nostalgica cui difficilmente si rimane insensibili. All For Love and Wages sembra ripartire da quelle salde basi per elettrificarle notevolmente, accentuando i toni desertici e taglienti della sua scrittura. Il risultato è una classica iconografia di confine, country-rock spazzato dal vento ed arso dal sole dell'immenso Texas, ballate epiche e passionali popolate da storie di ordinaria quotidianità e ravvivate dai maestosi paesaggi della sua terra natale: Nathan Hamilton non si vergogna di svelare le sue radici e lo fa con una emotività che non lascia indifferenti. Nathan Hamilton conferma anche dal vivo una vena ispiratissima che fa riferimento sia alla tradizione cantautorale texana, sia a certo roots rock di band come Uncle Tupelo e Jayhawks in Live At John T. Floore’s Country Store, fino a Six Black Birds, terzo album da studio, un lavoro che ha avuto una lunga gestazione e francamente non so se per mancanza di ispirazione o perché finanziariamente non era in grado di registrare un cd ogni 2 anni. Ma di certo le canzoni sono figlie del suo peregrinare, tra festival e apparizioni a supporto di band e artisti della scena red dirt-texana. Un disco che rappresenta l’evoluzione artistica di Nathan Hamilton: i suoi fans non troveranno il folk-roots di vecchia data (eccetto l’acustica e conclusiva Hanging On che è da brividi) ma dopo 45 minuti non potranno che apprezzarne il risultato, ne saranno meravigliosamente sorpresi.


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